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85a – Il corporativismo

Il Corporativismo è una dottrina politica ed economica che propone un modello di organizzazione della società contrapposto sia al liberalismo che al socialismo. Infatti, obiettivo del corporativismo è quello di risolvere la “questione sociale” (scontro tra proletariato e capitale) che caratterizza il periodo storico tra la fine del XIX secolo e la prima parte del XX secolo.

Fu nell’ambito del pensiero cattolico che, nella seconda metà dell’ottocento, venne elaborata una teoria corporativistica della società. La creazione di una società armonica e fondata sul rispetto dei valori religiosi, veniva ritenuta possibile solo superando lo sfrenato individualismo del capitalismo e la conflittualità e miseria sociale che esso generava. Questa posizione nasceva anche dall’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII (“Non può sussistere capitale senza lavoro né lavoro senza capitale”, § 16), che inaugurava una nuova fase del pensiero sociale della chiesa e prendeva le distanze sia dal liberalismo più estremo che dal socialismo e fu successivamente ribadita da Pio XI nell’enciclica “Quadragesimo Anno”.
(“la prima mira, lo sforzo dello Stato e dei migliori cittadini” deve essere quello di “mettere fine alle competizioni delle due classi opposte, risvegliare e promuovere una cordiale cooperazione delle varie professioni dei cittadini” (cap. III, § 5). E, premessa una brevissima descrizione dell’esperimento corporativo italiano, ne diede il seguenti giudizio: “Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell’ordinamento per quanto sommariamente indicato: la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialistici, l’azione moderatrice di una speciale magistratura”.)

In Italia un importante rappresentante di questa tendenza fu Giuseppe Toniolo.

In seguito fu il fascismo ad assumere l’ideale di una società fondata sul corporativismo come fondamento di una riorganizzazione dello stato e della società finalizzata ad esaltare la grandezza nazionale e a realizzare la pacificazione della società eliminando da essa ogni conflitto sociale. L’ordinamento corporativo fu posto alla base dello stato fascista. La “Carta del Lavoro”, approvata nel 1926, stabiliva i principi fondamentali dello stato corporativo. Sempre nel 1926 fu istituito il “Consiglio Nazionale delle Corporazioni” che aveva lo scopo di governare l’economia italiana e in cui erano presenti rappresentanti dell’industria, dei lavoratori e della magistratura del lavoro.

«L’ECONOMIA CORPORATIVA

L’economia corporativa è un’economia produttivistica perché si propone l’ottimo nella combinazione dei fattori, al fine di evitare sprechi di energie e di risorse, e di procurare invece un aumento della ricchezza disponibile da poter ripartire fra consumi e investimenti.

Tuttavia la produttività non deve andare a danno dei lavoratori impiegati, né dell’ambiente in cui si svolge l’attività economica. Inoltre la produttività presente non deve compromettere né la produttività a venire né le risorse vitali del futuro.

Nell’ambito di questa concezione di produttivismo sociale la politica economica corporativa punta perciò soprattutto alle innovazioni scientifica e tecnica e alla razionalità organizzativa al fine di aumentare il rendimento dei capitali fissi e mobili impiegati; inoltre si propone di elevare la professionalità dei lavoratori, liberandoli nel contempo da sudditanze alienanti attraverso la partecipazione responsabile al processo produttivo nei diversi gradi e cicli della produzione.

I SOGGETTI DELLA PROGRAMMAZIONE

Nella concezione corporativa tendenzialmente tutti sono protagonisti e insieme destinatari della programmazione per l’alto contenuto di partecipazione che essa vuol realizzare; tuttavia appare evidente che vi sono ruoli diversi nella struttura della società in cui le competenze e le responsabilità variano da persona a persona e da gruppo a gruppo.

Consideriamo dunque i soggetti della programmazione nazionale.

Anzitutto gli individui, in quanto una Nazione è prima di tutto un popolo, cioè è composta di individui che vivono in quel momento storico. Poi vanno considerate le famiglie, perché la famiglia è quell’entità naturale che svolge un ruolo fondamentale sul piano spirituale-educativo e sul piano economico-sociale. Se la famiglia funziona, come portatrice di valori e di attività costruttive, avremo una società valida dal punto di vista spirituale e da quello culturale e anche efficiente dal punto di vista fisico. Se invece nella famiglia c’è lo scadimento dei valori noi constateremo che tutta la società ne risente.

Dal punto di vista economico e sociale la famiglia va vista come gruppo che decide i consumi e come gruppo che decide i risparmi.

Altro protagonista-destinatario della programmazione è l’impresa.

L’impresa è una comunità di produzione e di distribuzione di beni e di servizi, cioè di creazione di utilità sociale. Essa va vista appunto come una delle entità base per qualsiasi programmazione; ma le imprese non devono essere considerate mondi isolati perché non sono degli atomi in perpetua lotta fra di loro o che si ignorano a vicenda; le imprese appartengono a dei settori merceologi ben individuati ed agiscono collegate con imprese di altri settori.

Il settore è un soggetto oggi soltanto potenziale, ma in un domani prevedibile sarà un soggetto della programmazione. Le categorie delle imprese e dei lavoratori non saranno intese nel senso marxista e distorsivo della categoria di classe, ma nel senso più esatto e più naturale della categoria produttiva (le imprese) e della categoria professionale (i lavoratori associati).

Quando scomparirà il contrasto delle classi contrapposte e il lavoratore sarà, come professionista, titolare sia della capacità professionale che della quota di capitale con la quale partecipa al progresso produttivo, allora, attraverso vari livelli funzionali sarà attuata anche la sua partecipazione effettiva alla programmazione.

Vi sono poi altri soggetti: gli enti locali, ossia gli enti territoriali: i Comuni, le Province, le Regioni; gli enti dei servizi sociali; le istituzioni pubbliche da quelle scolastiche a quelle della giustizia e delle forze armate; altri enti che hanno rilevanza nella vita della società, da quelli religiosi a quelli culturali, sportivi ed educativi.

Infine vi è il soggetto che compendia tutte le attività, lo Stato.

Tutti questi corpi sociali, non sono solo i soggetti della programmazione: sono anche l’oggetto della programmazione.

Nella programmazione impegnativa e concertata tutti, ciascuno nel proprio ruolo, sono protagonisti e quindi debbono diventare autori della programmazione, oltre che esserne i destinatari.

Nella concezione corporativa l’identificazione di soggetto e di oggetto non è un espediente dialettico, ma la confluenza di consapevolezza e di impegno in modo da realizzare un’autentica libertà. Non imposizione, dunque, di un ente burocratico estraneo e sovrapposto, ma autodisciplina e partecipazione responsabile di ciascuno per il bene di tutti.(da Il Corporativismo, ideologia della partecipazione di Claudio Piras)»

NELLA PRATICA

É fuori di dubbio che il corporativismo diede alla luce tutta una serie di leggi ‘sociali’ che per quei tempi erano all’avanguardia nel mondo.

Era però inserito in un regime dittatoriale (sia pure con largo sostegno popolare), con tutti i limiti che questo comportava.

Nel dopo guerra fu ovviamente aspramente criticato, ma è interessante notare che ‘il fallimento dell’esperienza corporativa in Italia’, come venne definito dai suoi critici, non fu dovuto (nemmeno per il critico più ostile) ad intrinseca fallacia o inadeguatezza del principio corporativo (la negazione della lotta di classe), ma fu causato dalle contingenti condizioni politiche, ossia dal carattere autoritario e burocratico impressole dal regime.

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