Ricordare…

139 – Gli scandali italiani

Quello che più colpisce facendo un raffronto tra il ventennio fascista e la nuova Repubblica Italiana è l’esplosione incredibile avvenuta dopo la fine della guerra di una disonestà difficilmente immaginabile.

Tutta la storia della Repubblica si fonda sulla corruzione, sui favoritismi, le carriere fulminanti e un vorticoso giro di denaro.Il meccanismo è semplice. Per evitare che la stampa, per la maggior parte vicina al PCI, denunci quanto accade, si evita come la peste di toccare tasti che possano in qualche modo infastidire i comunisti e li si coinvolge, anche se non sono al governo, nella spartizione del denaro pubblico.

Rifare la storia infinita degli scandali è impresa troppo lunga.

Mi limito a ricordarne uno dei primi, lo scandalo INGIC.

Correva l’anno 1954. Si era ai tempi della «diga (anticomunista) degasperiana», ma, anche allora, era un darsela a bere a vicenda.

La DC gestiva l’INGIC (Istituto Nazionale Gestione Imposte di Consumo).

Dovendo affrontare la concorrenza privata, i democristiani dell’INGIC non trovarono di meglio, per vincere gli appalti nei vari Comuni d’Italia, che di corrompere gli amministratori comunali.

Così quando il Sindaco era un comunista trattavano a colpi di milioni. I DC dello INGIC vincevano l’appalto e, sotto banco, passavano milioni al PCI. Poi, sulle piazze, invitavano gli elettori a votare contro quel «pericolo rosso», a cui, sotto sotto, passavano una parte cospicua di quei tremila miliardi (tale è la cifra del peculato nella intera vicenda INGIC) per fare propaganda.

Anche le Federazioni del PCI e del PSI di Pisa figurarono nell’elenco della corruzione programmata e generalizzata. Fior di quattrini finirono nelle casse dei partiti di sinistra pisani. Furono comperati gli appalti dei Comuni di Cascina, San Giuliano Terme. L’operazione fu tentata anche a Pisa. Intascarono alle spalle della povera gente.

Gli indagati furono 1.183, i rinviati a giudizio 600. Il Parlamento ovviamente negò l’autorizzazione a procedere.

Ebbene, di questo «scandalo», non se ne farà più nulla. Tutto prescritto. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. E, come sempre, stritolato, nel mezzo, il cittadino che lavora, che tira la carretta, che si alza presto la mattina.

Il numero e l’entità economica degli scandali che hanno preceduto e seguito lo scandalo INGIC è davvero impressionante. Come pure impressionante è la distribuzione dei proventi a tutti i partiti del cosiddetto ‘arco costituzionale’.

si venne così a creare molto velocemente un ‘regime’ surreale in cui opposizione e maggioranza interpretavano parti dello stesso copione. La matrice che teneva insieme il tutto era costituita dalla retorica della Resistenza che consentiva al PCI di presentarsi come un partito democratico e difensore della libertà, lasciando liberi gli altri, naturalmente dietro adeguato compenso, di foraggiarsi a man bassa con il denaro pubblico. La corruzione era a tutti i livelli e coinvolgeva buona parte dell’informazione.Quest’ultima era tenuta al guinzaglio o perché fortemente ideologizzata (vedi l’Unità, il Manifesto, e gli altri giornali vicini al PCI) o tramite vantaggi economici di varia natura. Si andava dai vari premi culturali controllati quasi sempre dal PCI alle varie forme di nepotismo che venivano sfruttate in maniera indegna. Chi non si piegava veniva messo facilmente fuori gioco con l’accusa di essere ‘fascisti’, ‘revisionisti’, ‘imperialisti’, ‘reazionari’ o simili, o più semplicemente licenziato.

Persino giornalisti del calibro di Montanelli non riuscirono a sottrarsi al gioco.

Eccone un esempio che riguarda proprio Montanelli e la rivoluzione d’Ungheria. All’epoca era stato inviato speciale del Corriere della Sera e aveva seguito da vicino le vicende. Mettete a confronto quanto scrisse per il Corriere e, tre anni dopo, per Paese Sera.

1956 – Corriere della Sera

«La rivoluzione ungherese è nata acefala, senza programmi prestabiliti, senza fini preordinati. È una autentica rivoluzione di popolo, corale e spavalda, alla antica». [“Corriere della Sera”, 30.10.56]

«A Budapest le truppe russe hanno sparato addosso ad una folla enorme con inaudita ferocia». [“Corriere della Sera”, 31.10.56]

«A Miskolic le truppe russe hanno fermato le ambulanze della Croce Rossa massacrandone il dolorante carico umano a colpi di mitra». [“Corriere della Sera”, 31.10.56]

«Budapest è la città che, qualunque cosa stia per avvenire, liberando sé stessa ha liberato l’Europa dalla Russia». [“Corriere della Sera”, 2.11.56]

«In Ungheria è in atto da 48 ore il più spaventoso genocidio, la soppressione materiale di tutta la gioventù. Ancora un mese di queste operazioni, e dell’Ungheria non rimarrà che un orfanotrofio». [“Corriere della Sera”, 12.11.56]

«Tutto ciò ai Russi sembra importare ben poco. Il loro ambasciatore e i loro generali in Ungheria hanno assistito impassibili alla liquidazione dei propri servitori, che seguita implacabile e spietata tuttora». [“Corriere della Sera”, 3.11.56]

1959 – Paese Sera

«Proprio da Budapest io mi ribellai in modo esplicito alla parola d’ordine delle borghesie occidentali che pretendevano di definire quegli avvenimenti una rivolta popolare anticomunista. Non era così. Casomai si trattava di uno scisma nel mondo comunista» [“Paese Sera”, 20.10.59]

«Capii fra l’altro, proprio in Ungheria, che non è vero che il comunismo uccida le coscienze, ma, al contrario, le ravviva». [“Paese Sera”, Ottobre ’59]

«I sovietici, nella loro azione di forza, non si comportavano da nemici; ma erano uomini normali, ragionevoli, rattristati, costretti da cause di forza maggiore a compiere atti contro voglia». [“Paese Sera”, 20.10.59]

«Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, proprio là, in Ungheria, io ho visto spegnersi la guerra fredda e sorgere da quel dramma grandioso, la prima luce della distensione. Là è cominciato anche il mio personale distensionismo» [“Paese Sera”, Ottobre ’59]

«Tutti abbiamo potuto osservare ed abbiamo dovuto riconoscere, con un certo sbalordimento, la volontà dei sovietici di non dare alcun carattere punitivo all’operazione». [“Paese Sera”, Ottobre ’59]

«Sono convinto che Kadar sia un galantuomo che ha salvato il salvabile» [“Paese Sera”, Ottobre ’59]

Credo non occorra davvero fare alcun commento. Solo una considerazione. Persone così, come Montanelli, Bocca ed altri, sono stati per anni portati in palmo di mano e osannati per la loro onestà intellettuale e la loro imparzialità. Leggendo i due resoconti dello stesso avvenimento, mi vengono i sudori freddi.

E se questo è un giornalista credibile, cosa dobbiamo pensare degli altri?

La radice che ha generato tutto questo marasma è facilmente identificabile: è stato l’aver voluto ancorare la nuova Repubblica al falso mito della Resistenza. L’aver avuto paura di definire sin da subito i comunisti per quel che erano e di denunciare già allora i crimini commessi dai partigiani comunisti.

Certamente un ruolo importante lo ha avuto la paura di una guerra civile, ma quasi mai la paura produce buoni frutti.

É ora quindi di riparare l’errore. Oggi il comunismo sovietico è caduto come un colosso dai piedi d’argilla; i crimini comunisti sono noti in tutto il mondo; lo stesso partito comunista non ha più la forza di allora.

L’unica strada per sperare in un’Italia migliore è spezzare una volta per tutte le radici dell’odio e ristabilire la verità storica.

Commenti

Precedente Successivo Indice