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038 – Massacratori e pensionati

Di alcuni dei responsabili del massacro degli italiani si conoscono i nomi.

Ed alcuni di loro, in virtù dello zelo e dell’impegno dimostrato, sono stati ritenuti idonei ad incassare dallo Stato Italiano una pensione dell’INPS.

Ecco un sommario elenco:

CIRO RANER
Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità. 50 milioni circa di arretrati.
Le sue azioni valorose:
Dal maggio 1945 al marzo 1946 Ciro Raner comandò il campo di concentramento di Borovnica in cui sono stati deportati oltre duemila italiani, in gran parte militari che si erano arresi. “Eravamo in fila con un scodellino per avere un mestolo d’acqua sporca e patate (…), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola. Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace. Arrivò il Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca“. Questo il racconto di  Giovanni Prendonzani, sopravvissuto a Borovnica e ancora in vita a Trieste, città nella quale ha rilasciato la sua testimonianza ai Carabinieri. Sempre nel lager di Borovnica: ” Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema: presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato. Dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie. Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize (sentinelle, ndr) che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto“. Questo racconto è riportato sul documento n. 62, archiviato nella stanza 30 al primo piano del ministero degli Affari Esteri e consegnato al  giudice Pititto.

NERINO GOBBO

Pensione INPS:532.500 lire per tredici mensilità. 30 milioni circa di arretrati.
Le sue azioni valorose:
Nerino Gobbo, conosciuto come il comandante “Gino“, ricopriva l’incarico di commissario del popolo delle milizie di Tito, che con il IX Corpus avevano occupato il capoluogo giuliano il primo maggio 1945. Fino a metà giugno fu responsabile di Villa Segré di Trieste.  Silvana Spagnol, membro del Comitato di liberazione nel capoluogo giuliano, denunciava agli alleati nel 1946 la scomparsa della professoressa di lettere del liceo Petrarca, Elena Pezzoli, membro della resistenza.  “Il 20 maggio 1945, Elena Pezzoli era tradotta in macchina da agenti in borghese a Villa Segré, sede del commissariato del secondo settore dipendente dalla Difesa popolare (le milizie degli occupanti titini, ndr). (…) La Pezzoli fu torturata nella notte del 21 maggio e si sono uditi i lamenti e i rumori di cinghia (…). Il giorno 9 giugno la Pezzoli era scomparsa e con lei il comandante Gino, Nerino Gobbo“. Questo si legge nella denuncia acquisita dalla magistratura di Roma. Acquisita pure la sentenza del 17 gennaio 1948 della Corte d’Assise di Trieste, in cui i giudici scrivevano: “Dopo qualche giorno tutta la squadra si trasferiva à Villa Segré assumendo il nome di squadra volante (…), e passava alle dirette dipendenze del commissario del popolo, Gino, di nome Nerino Gobbo. (…) Come risultò dalle deposizioni dei testi tutti i detenuti venivano bastonati e seviziati, taluni costretti a bastonarsi a vicenda e persino a mettere la testa nel secchio delle feci”. Gobbo fu condannato in contumacia a 26 anni di reclusione.

FRANCO PREGELJ

Pensione INPS: 569.650 lire per tredici mensilità. 45 milioni circa di arretrati.
Le sue azioni valorose:
dal primo maggio al 9 giugno 1945, il comandante “Boro“, alias Franco Pregelj fu il commissario politico del IX Corpus dell’esercito partigiano jugoslavo, che aveva occupato Gorizia. Dei 900 italiani deportati dal capoluogo Isontino, 665 non tornarono più a casa. Fra gli scomparsi anche Licurgo Olivi e  Augusto Sverzutti, entrambi esponenti del Comitato di Liberazione. “La mattina del 5 maggio 1945 furono invitati a salire su una macchina, sulla quale c’era anche il professor Mulitsch e il commissario Boro. Giunti in piazza della Vittoria il professor Mulitsch fu fatto scendere mentre la macchina proseguì verso il palazzo Coronini (comando del IX Corpus titino a Gorizia, N.d.R.). Da allora non sono più tornati”.Questo hanno denunciato i familiari di Sverzutti nel 1946 alla questura del capoluogo isontino. Emilio Mulitsch, responsabile del CLN di Gorizia, ha confermato la vicenda con una relazione conservata nell’Ufficio storico del PCI (documento 4004, pagg. 1-4, reg. C). Lo studioso pordenonese Marco Pirina ha trovato negli archivi sloveni i numeri di matricola di Sverzutti (n. 1728) e Olivi (n. 1799), deportati nel carcere di Lubiana, un ex manicomio. L’ultima registrazione del 30 dicembre 1945 indica che i prigionieri sono stati trasferiti verso “ignote destinazioni“. L’intera documentazione è nei fascicoli della Procura di Roma.

GIORGIO SFILIGOI
Pensione INPS: 571.850 lire per tredici mensilità. 20 milioni circa di arretrati.
Le sue azioni valorose:
Sergio era il nome di battaglia di Sfiligoi, che dal 1944 al 1945 fu utilizzato come “deportatore” di italiani dal IX Corpus del  Maresciallo Tito. “Il 29 aprile 1945 (…) Sfiligoi Giorgio prelevò, presso le proprie abitazioni le seguenti persone: Brurnat Marino, Bullo Giuseppe, Tavian Giovanni, Ronea Enrico, Gasparutti Rodolfo e Pascolat Francesco. All’insaputa del locale Comitato di liberazione furono trasferiti, la notte del 30 aprile a (…) Idria, ove furono consegnati ai partigiani sloveni. Il 1 maggio successivo (…) Mons. Angelo Magrini si recò in Idria, ove ottenne la liberazione dei catturati, i quali fecero ritorno a Cormons presso le loro abitazioni. Nella notte del 6 maggio 1945, i predetti sventurati furono nuovamente prelevati dallo Zulian Nerino, dal Marini Clodoveo e dallo Sfiligoi Giorgio e trasportati – a mezzo di un autocarro – a Caporetto e là consegnati allo Zulian Mario che li freddò“. Ciò è quanto si legge nell’esposto del commissariato di pubblica sicurezza di Cormons del 10 maggio 1949 acquisito agli atti.

OSCAR PISKULIC
Le sue azioni valorose:
Oscar Piskulic, detto “Zuti” (il giallo), fu dal 1943 al 1947 il capo della temuta Ozna, la polizia segreta jugoslava a Fiume. L’avvocato Augusto Sinagra, che con la sua denuncia ha avviato l’inchiesta sul genocidio delle foibe, accusa proprio Piskulic e altri funzionari dell’Ozna, fra i quali gli italiani Norino Nalato e Giuseppe Domancich. Alla Procura di Roma sono stati consegnati 553 nomi di connazionali uccisi o scomparsi nel capoluogo quarnerino e dintorni, dal 3 maggio alla fine dei 1945. “I familiari di alcuni degli uccisi essendosi recati, spinti dall’angoscia, alla sede dell’Ozna a Fiume dove erano raccolti i cadaveri, avevano constatato che i funzionari a cui si erano rivolti erano i medesimi individui che erano penetrati nelle loro case per prelevare i congiunti poscia uccisi. (…) In tal modo l’uomo e la donna che avevano diretto il prelevamento dell’ex deputato della Costituente Sincich vennero identificati nel capo dell’Ozna Oscar Piskulic e nella sua amante (…)” si legge nella testimonianza di Luksic Lanini, membro del CLN di Fiume, consegnata alla Procura di Roma. Il figlio di Giuseppe Sincich, interrogato recentemente dal  pubblico ministero Pititto, ha confermato le responsabilità di Piskulic sottolineando che suo padre “era un democratico, un economista, perseguitato dai fascisti, ma i democratici a quel tempo davano molto fastidio”.

IVAN MOTIKA
Le sue azioni valorose:
l’8 settembre del 1943 l’esercito italiano era allo sbando su tutti i fronti. In Istria ne approfittarono i partigiani di  Tito conquistando diverse cittadine. Ivan Motika ricopriva il ruolo di “giudice del popolo“, che decideva il destino degli italiani. “Il castello di Pisino era diventato in quei giorni prigione e quartier generale dei partigiani di Tito, il cui luogotenente (…) era tale Ivan Motika; nel castello si svolgevano i cosiddetti “processi” del “Tribunale del Popolo“, presieduto dallo stesso Motika, che sentenziava a decine o centinaia le condanne a morte degli italiani. (…) Il 30 ottobre i resti dei due congiunti (padre e zio dell’estensore di questa testimonianza, imprigionati da Motika, n.d.r.) furono riportati alla luce da una cava di bauxite a Villa Bassotti. (…) “Erano nudi, le mani legate con il filo spinato ed erano stati tagliati i genitali e levati gli occhi. In tutto si ricuperarono 23 salme” così si legge nella deposizione alla Procura di Trieste di  Leo Marzini, che racconta di aver incontrato in quei giorni tremendi, lo stesso Motika per chiedergli spiegazioni: “Non fece nulla per limitare le sue responsabilità e si limitò a dire che forse si era trattato di un errore“. La deposizione raccolta a Trieste è stata inviata alla Procura di Roma assieme ad altre testimonianze, fra le quali spicca quella di  Nidia Cernecca che ricorda ancora il padre decapitato su ordine di Motika, soprannominato “il boia di Pisino”.

GIUSEPPE OSGNACCO
Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità, 30 milioni d’arretrati.
Le sue azioni valorose:
Giuseppe Osgnacco, detto “Josko“, ex sergente dell’esercito italiano, era il comandante militare della banda partigiana Beneska Ceta fin dal 13 agosto 1944. La formazione operò nelle Valli del Natisone con l’obiettivo dichiarato di annettere più territorio possibile della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Nel 1959 fu istruito un processo contro gli appartenenti alla Beneska Ceta, ma l’amnistia promulgata da Palmiro Togliatti nel 1946 fece sì che fosse dichiarato il non luogo a procedere. Nella nuova inchiesta della Procura di Roma i reati di strage ai danni della popolazione italiana, con finalità di pulizia etnica, non possono andare in prescrizione. Le testimonianze raccolte da  Giuseppe Vasi, un udinese che ha dedicato gran parte della sua vita a ricostruire i drammatici giorni della guerra sui confini orientali, sembrano confermare che la Beneska Ceta passava quasi sempre per le armi i prigionieri. “Sono state almeno 40 le persone ammazzate nei boschi circostanti le Valli del Natisone tra militari tedeschi, fascisti e anche civili”. Ma la sorte più ingrata toccò a due giovani carabinieri, secondo la testimonianza oculare di Giovanni  Lurman   consegnata alla Procura di Roma. ” I partigiani ordinarono loro di spogliarsi (…), li legarono mani e piedi e li spinsero nella buca (…).Loro piangevano dentro e più che buttavano terra e sassi si sentiva che urlavano” racconta il testimone che ammette di averli disseppelliti personalmente un mese dopo, all’arrivo delle truppe “alleate” (1945), riscontrando che almeno uno dei militari non aveva la pur minima ferita e quindi era morto dopo essere stato sepolto vivo.

GUIDO CLIMICH
Le sue azioni valorose:
nome di battaglia “Lampo“, Guido Glimich era, alla fine della guerra, il temuto capo della polizia segreta di  Tito a Pisino nella penisola istriana. L’Associazione famiglie deportati in Jugoslavia aveva raccolto numerose dichiarazioni sulla sparizione degli italiani, poi consegnate alla questura di Gorizia. “Mio figlio  Mechis Giovanni fu prelevato il 3/5/1945 dai partigiani titini (…). Con altri otto paesani furono interrogati da un funzionario dell’Ozna, Guido Climich (…). Circa il 25 o 28 maggio furono portati a Montona e racchiusi nelle carceri (…). Il 12 Giugno 1945 un folto gruppo di prigionieri fu prelevato di notte. (….) Pochissimi fecero ritorno e io non seppi più nulla di mio figlio” scriveva in uno stentato italiano Antonio Mechis il 25 giugno del 1949.

GIOVANNI SEMES
Le sue azioni valorose:
il generale Giovanni Semes, che occupò Zara il 31 ottobre 1944, era comandante militare della piazza e capo della polizia segreta di  Tito nella zona. Il giornale croato “Narodni List” ha pubblicato, cinquant’anni dopo, il bando di fucilazione degli abitanti del quartiere di Borgo Erizzo e di altri zaratini. Ventinove italiani erano compresi nel bando firmato dal generale Giovanni Semes, ma altri “settantatrè non hanno avuto la fortuna di essere giudicati perché sono finiti nella fossa marina dell’isola Lavernata nell’arcipelago delle Coronarie” scrive Ivijca Matesie in un’inchiesta giornalistica, acquisita agli atti dal pubblico ministero. Lo studioso Marco Pirina ha segnalato alla Procura di Roma la relazione del secondo reparto della Regia Marina del 20 giugno1945, conservata presso l’archivio centrale dello Stato, che conferma questi tragici fatti imputabili al generale Semes.

MARIO TOFFANIN
Pensione INPS: 672.270 per 13 mensilità.
Le sue azioni valorose:
Toffanin, nome di battaglia “Giacca“, è il responsabile della strage delle malga Porzus sui monti friulani. Fra l’8 il 13 febbraio del 1945 massacrò con i suoi uomini, tutti partigiani garibaldini rossi, 22 combattenti della Resistenza della brigata “Osoppo“, che si opponeva all’annessione alla Yugoslavia della Venezia Giulia. Nel 1957 Toffanin fu condannato all’ergastolo per l’eccidio di Porzus, ma si nascose prima in Yugoslavia e poi in Cecoslovacchia. Nel 1978 venne graziato dal presidente Pertini. La pensione Inps era la VOS 04908917: nonostante le sanguinose azioni anti-italiane, ha ricevuto 672.270 lire di pensione dall’Inps fino alla morte.
(Responsabili presunti)

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