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201 – Marxismo = Nazismo

Riporto alcuni scritti di Ludwig von Mises e di Friedrich von Hayek.
Rifletteteci con calma.

Hitler, ad avviso di Mises, “non fu il fondatore del nazismo; egli ne fu il prodotto”.

Erano stati i socialisti della cattedra, tra Ottocento e Novecento, ad inculcare un odio isterico nei confronti del capitalismo e a predicare “la guerra di liberazione” contro l’Occidente capitalistico.

Hitler era, scrive Mises, un gangster sadico e un ossesso in preda alla megalomania – megalomania accarezzata ed esaltata da schiere di intellettuali. Si pensi soltanto a Werner Sombart il quale, se nel 1909 si era gloriato di aver dedicato la sua vita alle idee di Marx, nel 1934 dichiarerà che “il Führer riceve i suoi ordini direttamente da Dio”.

E fu così, allora – precisa Mises – che i nazisti furono prontissimi ad adottare le politiche sovietiche.

“Essi importarono dalla Russia: il sistema del partito unico e il supremo potere di questo partito nella vita politica; la posizione predominante assegnata alla polizia segreta; i campi di concentramento; l’uccisione o l’imprigionamento di tutti gli oppositori; lo sterminio delle famiglie dei sospetti e degli esuli; i metodi di propaganda; l’organizzazione dei partiti affiliati all’estero e il loro impiego nella lotta contro i governi locali e nello spionaggio e nel sabotaggio; l’uso del servizio diplomatico e consolare per fomentare la rivoluzione; e molte altre cose ancora. In nessun’altra parte Lenin, Trotskij e Stalin ebbero discepoli più docili dei nazisti”.

Delle radici socialiste del nazismo Hayek parla nel dodicesimo capitolo de ‘La via della schiavitù’ : “È un errore – egli scrive – considerare il nazionalsocialismo come una mera rivolta contro la ragione, un movimento irrazionale senza retroterra intellettuale”.

Se questa fosse stata la situazione, il nazismo non sarebbe poi stato tanto pericoloso. La realtà, piuttosto, è che il nazismo fu possibile non perché la borghesia ne facilitò l’ascesa, ma per la ragione inversa: per l’assenza in Germania di una forte borghesia. Ed è significativo, annota Hayek , che “i più importanti antenati del nazionalsocialismo – Fichte, Rodbertus e Lassalle – sono al tempo stesso riconosciuti come padri del socialismo”.

Furono, tuttavia, intellettuali come J. Plenge e P. Lensch a fornire le idee fondamentali ai maestri diretti del nazionalsocialismo, in particolare a Oswald Spengler e ad Arthur Moeller van der Bruck. ‘Preussentum und Sozialismus’ di Spengler viene pubblicato nel 1920.

In Germania, scriveva Splenger, “molte sono le idee malfamate, ma tra di esse solo il liberalismo è degno del più grande disprezzo”.

La verità è che sin dai tempi di Bismarck lo stato prussiano era venuto a configurarsi sempre più in senso socialista. Per l’istinto tedesco o, meglio, prussiano – così pensava Spengler – “il potere appartiene alla totalità. Il singolo serve quest’ultima. La totalità è sovrana. Ciascuno ha il suo posto. Si comanda e si obbedisce”. E a questo punto, conclude Hayek, “rimaneva solo un passo da fare perché il Santo patrono del nazionalsocialismo, Moeller van der Bruck, proclamasse la prima guerra mondiale una guerra fra liberalismo e socialismo”.

E dunque: nazismo e stalinismo rappresentano davvero la destra più estrema e la sinistra più estrema, ovvero tutta una serie di tratti sovrapponentisi ci offrono una sostanziale medesima icona?

Nazisti e stalinisti basano il loro totalitarismo su di un presunto “sapere superiore” – sapere superiore di “natura salvifica”, possesso del Führer o del “glorioso” capo del partito.

Il totalitario nazista o comunista pensa di conoscere l’ineluttabile senso della storia; crede di avere tra le mani il sommo criterio per decidere quale sia la società perfetta e quale sia la “vera” natura umana; è sicuro di sapere cosa è il bene assoluto e dove sta il male assoluto; sa quale è la razza o, rispettivamente, la classe destinata a realizzare il bene sulla faccia della terra e a dominare il mondo; si reputa capace di dirigere l’intera economia.

Da questi presupposti gnoseologici scaturiscono “naturalmente”: il partito unico; la fede nel leader il quale è sicuro che “Dio è con lui” o il quale crede che Dio ormai gli abbia ceduto il posto; il dominio del partito su tutta la vita politica; l’asservimento dei giudici alla volontà del partito; una propaganda martellante tramite l’esclusivo uso della stampa e degli altri mezzi di comunicazione; il controllo più minuzioso sulla vita “privata” dei singoli cittadini; il più rigido monopolio dell’educazione, con l’immediato licenziamento di tutti gli insegnanti non perfettamente allineati; l’onnipresenza della polizia segreta; la persecuzione dei sospetti; la carcerazione, la tortura e infine l’uccisione di quanti vengono individuati come “nemici oggettivi”; i Lager e il Gulag. L’unica vera differenza tra nazismo e comunismo è costituita dal nemico oggettivo: l’altra razza o l’altra nazione per il nazismo, la classe borghese per il comunismo; il mondo va ripulito da tutti gli individui che incarnano il male, da tutti gli “insetti”.

La presunzione fatale circa il possesso di una conoscenza assoluta e superiore riguardante la totalità della società, il bene e il male, la natura dell’uomo e così via è una malattia tipica del pensiero totalitario.

Il totalitario “sa” chi è in stato di grazia e chi è “oggettivamente” nella perdizione e che quindi va “liquidato”.

In ‘Out of step’ , Sidney Hook narra di una conversazione da lui avuta a casa sua con Bertolt Brecht, conversazione che ebbe per oggetto i vecchi bolscevichi fucilati nel periodo dei processi di Mosca:

“E fu a quel punto che egli pronunciò una frase che non ho mai più dimenticato”, scrive Hook. “Egli disse: «Quelli là, più sono innocenti, più meritano di essere fucilati.» Io rimasi totalmente stupito che credevo di aver sentito male. “Come dice?”, gli chiesi. Egli ripeté calmo: «più sono innocenti, più meritano di essere fucilati.» Le sue parole mi lasciarono di stucco. “Perché? Perché?” esclamai. Si limitò a lanciarmi una sorta di nervoso sorriso. Aspettai, ma non disse nulla, anche dopo che io ebbi ripetuto la mia domanda. Mi alzai, andai nella stanza accanto e gli presi il cappotto e il cappello. Quando tornai da lui, era ancora seduto in poltrona col bicchiere in mano. Vedendomi col cappotto e il cappello parve sorpreso. Posò il bicchiere, si alzò, prese cappotto e cappello e con un accenno di sorriso partì. Nessuno di noi aveva detto parola. Non lo rividi mai più”.

L’innocenza non basta.

È il totalitario a concedere la “grazia” della vita ai suoi sudditi.(da Stalin e Hitler così lontani così vicini)

(vedi anche il capitolo ‘Le stesse radici’ e il capitolo ‘Le radici ideologiche)

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